Geolier e la sua settimana da Festival

L’edizione del Festival di Sanremo numero 74 si è chiusa da poco ed Emanuele Palumbo può far ritorno nella sua Napoli. Il fenomeno Geolier è esploso definitivamente tra mille polemiche, fischi da stadio, commenti fatti di divisione e di scherno, alcuni di puro sfottò altri che nascondono diverse interpretazioni.

Si è detto e scritto di tutto durante la kermesse Sanremese, ma andiamo a scoprire chi è Geolier, i suoi inizi e dove arriva la sua musica. Geolier, il rapper di Secondigliano, inizia col rap davanti alla sua webcam, l’amore per la musica inizia a cinque anni, stregato da un album di 50 Cents, a dodici anni scrive la sua prima canzone. Cresce ascoltando i Club Dogo e i Co’Sang di Luchè, con lui sul palco di Sanremo nella serata delle cover.

Emanuele Palumbo nasce e cresce a Secondigliano, uno dei quartieri più difficili di Napoli, e per questo sceglie il nome d’arte Geolier, termine francese per secondino, come vengono chiamati gli abitanti di Secondigliano. Decide presto di lasciare studi e lavoro, nel 2018 esce il suo primo singolo “P Secondigliano”, nel 2019 firma per l’etichetta Luchè e nel suo album di debutto “Emanuele” le collaborazioni sono già di alto livello, Emis Killa, Guè e lo stesso Luchè.

L’album viene certificato disco di platino ma il successo arriva con “Il coraggio dei bambini”, a Sanremo con la sua “I p’me, tu p’te” oltre al secondo posto dopo Angelina Mango arriva la definitiva consacrazione nazionalpopolare. Al Festival scoppia il caso televoto, Geolier ha trionfato nelle votazioni tramite telefono o sms, non solo il 60% delle preferenze, ma il più alto numero di voti da quando è in vigore questo sistema. Ciò significa che era lui il vincitore agli occhi di una giuria “popolare”, ma chi è che lo ha votato?

Chi sono i sostenitori dell’artista 23enne, le ipotesi che si sono scritte non sono belle, Per elencarle tutte, però, dobbiamo cominciare con i rimproveri fatti proprio a lui. Cominciamo dal genere musicale che, per alcuni, combinato al dialetto e alle origini di Geolier, periferia nord di Napoli, indicherebbe non una produzione musicale, con i suoi stilemi e le sue peculiarità, bensì una rappresentazione e diffusione di modelli negativi per i giovani e per la città. Eppure, Geolier, non è appena spuntato nel panorama musicale italiano. Per quanto in molti l’abbiano scoperto solo di recente, ha esordito nel 2018 e il suo ultimo album Il coraggio dei bambini è stato il più venduto in Italia del 2023, cinque volte disco di platino. Ha più di 6 milioni di ascoltatori mensili su Spotify e il 2024 appena iniziato, lo vede, ad oggi, primo artista, internazionali inclusi, che si esibirà allo stadio Maradona di Napoli per tre date consecutive, sold-out. 

Soprattutto, non è Napoli la città in cui è più ascoltato: viene prima Milano, poi Roma e infine il capoluogo campano. L’artista ha fatto del dialetto una cifra di stile, un linguaggio/slang che è riverbero sociale, ma diversamente da ciò che potrebbero immaginare alcuni, questo non sembra inficiare la comprensione dei testi o compromettere la gradevolezza del ritmo. Geolier è, insomma, una sorta di golden boy della discografia italiana. Eppure, il suo successo, evidentissimo, non è stato sufficiente a spiegare come mai, già nel corso delle prime serate del Festival e poi nella serata delle cover, avesse cominciato a scalare la classifica del televoto fino a raggiungere il primo posto per preferenze del pubblico. Piuttosto di mettere in relazione e concatenazione i dati sul successo di Geolier e farsi un po’ di domande sui propri preconcetti, c’è stato infatti chi ha preferito immaginare un nuovo, ennesimo complotto. 

C’è stato chi ha fischiato e chi ha lasciato il teatro Ariston e chi, sugli account ufficiali del Festival, ha commentato di soldi della camorra e del reddito di cittadinanza utilizzati per sostenere il rapper. C’è chi ha cercato di analizzare e spiegarsi questi atteggiamenti considerando un eventuale sentimento d’esclusione vissuto da una parte di pubblico e chi ha argomentato di fanatismo identitario. In conferenza stampa, a differenza degli altri 29 artisti in gara, con piazzamenti in classifica diversi gli uni dagli altri, al solo Geolier una giornalista ha chiesto: “Non ti senti di aver rubato un po’? Non ti senti a disagio davanti agli altri?” Infine, l’accusa, nemmeno troppo velata: l’esistenza di un fantomatico tutorial su come votare con cinque schede diverse. 

Perché è ovvio, no? Secondo un ragionamento che nessuno ammette d’aver fatto ma che pure è palese, un ragazzo della periferia napoletana che si esprime in dialetto e fa la trap, non può essere un artista di caratura nazionale, con una buona fan base a sostenerlo e portarlo alla vittoria e una major discografica che ha puntato su di lui; un ragazzo della periferia napoletana che si esprime in dialetto e fa la trap deve necessariamente essere vicino ad ambienti poco chiari ma restare lì, ringraziare tantissimo delle possibilità che gli vengono magnanimamente offerte per uscire momentaneamente dal “ghetto”, chinare il capo davanti agli altri, e manipolare la situazione a suo vantaggio muovendosi sottotraccia, arrangiandosi, facendo il cosiddetto “pezzotto” al televoto. 

Geolier, che ha detto chiaramente dell’effetto che gli ha fatto la contestazione “vincere con i fischi è stata la cosa più brutta della mia vita” vanta invece una community di ascoltatori storici, un nutrito gruppo di nuovi, e una caterva di solidarizzanti, napoletani e non, conquistati proprio in seguito ai fischi e al razzismo strisciante, così sottile che pare innocuo. Non basta la rabbia di chi si chiede perché la sua preferenza, espressa tramite telefonata o messaggio a pagamento, abbia valore relativo e minore rispetto al parere e alle votazioni della radio e della sala stampa, soprattutto se anche da questo concetto venivano congetture sull’ascesa di Geolier e un chiaro sentire a riguardo dei suoi sostenitori, condensato in una frase davvero brutta: “Non fate più votare la Campania”. 

Nel caso di Geolier, però, si è andati ben oltre il brano sanremese alla ricerca di qualcosa che contribuisse a identificarlo come cattivo esempio per i giovani, capace di gettare l’onta su Napoli. Ed ecco l’accusa che ritorna: ho sentito una canzone in cui parlava di boss, diceva di avere un fratello criminale; ho visto un video (musicale) in cui imbracciava un fucile. È possibile che questo artista, malgrado i milioni di ascoltatori mensili, non piaccia e non parli a tutti – e tra questi tutti m’inserisco anch’io – ma chi si preoccupa di lui come possibile esponente culturale di un atteggiamento criminale se non camorristico assomiglia pericolosamente a coloro i quali credono che chi ascolta il genere metal sia un adoratore del demonio. Converrebbe, piuttosto, cercare di decodificare il messaggio di Geolier.

Geolier ha fatto il suo mestiere, senza artifici. Non si è preoccupato cioè di allisciarsi il pubblico con un siparietto. Non ha fatto conquistare grandi punti al Fantasanremo (oltre alla classifica). Non ha utilizzato un paio di frasi in dialetto napoletano perché Napoli è un trend. Non ha ripulito la sua lingua e la sua espressività per ottenere l’approvazione altrui e rendere il suo personaggio più digeribile a un pubblico più ampio. È rimasto fedele a sé stesso e molto sulle sue, sia nei momenti in cui avrebbe potuto esprimere con maggiore forza il suo disappunto, sia in quelli in cui avrebbe potuto aprirsi e lasciarsi andare allo scherzo. 

Forse, il nodo da sciogliere non è tanto se sia piaciuto o meno, ma perché la sua autenticità sia stata messa in discussione. Forse, in un contesto di spettacolo in cui mostrarsi estroversi, effervescenti e inoffensivi fa parte del gioco, non si è conformato a pieno. Ma Geolier non bada a queste cose, Geolier è un trapper che scala le vette, d’altronde lo ha sempre fatto.

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